I sogni lunghi e la mediocrità 25 Febbraio 2014 – Pubblicato in: Le Storie Semplici – Tags: , ,

Quello che Sara ha sempre saputo è che sarebbe diventata famosa. Aveva sei anni, gli occhi nocciola e la voce squillante, e a parenti e conoscenti raccontava «Farò l’attrice, o forse la cantante». Con gli anni Sara capì che la sua passione era la musica, quella musica che non smetteva mai di ascoltare. Erano gli anni ’80, e lei aveva una radiolina arancione che si portava ovunque, anche in bagno.

Aveva quattordici anni quando trovò la sua prima band. Passava ore e ore in un garage a cantare Hotel California, ed era felice quando lei e il chitarrista urlavano insieme And still those voices are calling from far away. Tutto ciò che voleva era cantare, e vivere con le note appiccicate addosso.

A diciotto anni vinse il primo festival per band emergenti. E poi un altro, e un altro ancora. Finché un anno dopo, in un capannone trasformato in birreria, ebbe il coraggio di portare il suo cd al tizio di cui le avevano parlato.
Quel tizio la guardò con la noia di chi ha la macchina piena di cd di ragazzini sognatori, e poi, una settimana dopo, la chiamò e le disse «L’etichetta vuole proporti un contratto. Ce la fai a essere in centro fra due ore?»
Ci fu il contratto. E un cd con i suoi occhi in copertina. E il primo tour, d’estate. Il suo volto appiccicato ai cartelloni sulla passeggiata, davanti al muretto, e il mare che le faceva compagnia. E le interviste, prima in radio, poi in tv. Poi, finalmente, la conferma che sarebbe arrivato un secondo cd. Molto più investimento, molta più promozione, e «sei la nostra punta di diamante, tu lo sai, vero, Sara?».

I sogni lunghi

E poi ci fu la freddezza con cui fu accolto il disco successivo. I concerti, che giorno dopo giorno sembravano sempre più intimi, sempre più per pochi affezionati. E quei SE e MA che uscivano dalla bocca del suo discografico. «SE faremo il terzo disco».

Il terzo disco non arrivò mai, e invece arrivarono serate stanche e la sensazione di dover già cambiare vita, poco dopo i vent’anni.

«Ero convinta di essere la migliore, ma nessuno sembrava capirmi. Ho rotto i rapporti con quell’etichetta, ho cominciato a suonare con altre persone, e poi mi sono trovata un lavoro, un lavoro serio. Non potevo fare altro»
Mi ha detto così Sara, qualche giorno fa, davanti a un piatto di linguine al pesto. Ha quasi quarant’anni, gli occhi nocciola forse un po’ verdi, e a casa ha due figli con i quali canta a ogni ora del giorno e della notte.

«La mia passione per il canto è sempre uguale. Canto ovunque. In macchina, in cucina, andando a lavorare. Ho solo capito una cosa in più. Ho accettato di essere mediocre. E non guardarmi così, non sto cercando i complimenti. So di essere brava, ma non abbastanza.
Non possono avere tutti successo. Non siamo tutti delle star. Noi ragazzi degli anni ’80-’90 siamo cresciuti pensando che la tv fosse un’estensione del salotto, aperta a tutti. Siamo cresciuti a pane e sogni. Ecco, io qualche anno fa ho capito che non c’è niente di male a ridimensionare i propri sogni. E che quei due biondini che ho in casa, e mio marito, il mio lavoro, e quella classe a cui insegno musica ogni mercoledì, beh, tutti insieme sono un sogno meraviglioso.
E sai cos’è successo quando ho accettato questa, che chiamo la mia mediocrità, e invece credo proprio sia la vita che ho sempre desiderato?
Mi sono accorta di essere felice.»

Ci sono storie grandi, storie fatte di coraggio, successo e sogni lunghi. Sono quelle storie che ti fanno venire voglia di guardare in alto, di gridare il tuo entusiasmo e di gonfiarti di speranza. E guai se non ci fossero, e se non ci fosse quel momento nel quale pensi e sogni di poter diventare qualsiasi cosa.
Poi però ci sono le storie semplici. Che non fanno nulla di diverso, se non abbracciarti forte, e farti capire che forse il sogno che desideravi con tutte le tue forze non è così lontano, e che è lì, brillante e bellissimo, all’altezza dei tuoi occhi.

* Il nome, Sara, è di fantasia. La storia è vera.