Vintage Afropicks e la sua rivoluzione personale 24 Febbraio 2016 – Pubblicato in: Calzamutanda, Fashion – Tags: , , ,

Vintage Afropicks

Fashion revolution è un movimento del quale si inizia a parlare sempre di più.
L’anno scorso, il 24 aprile, migliaia di persone hanno postato foto dei loro vestiti alla rovescia, etichetta in bella vista, interpellando i produttori dell’indumento scelto.
La domanda era: who made my clothes?
La data non è casuale, il 24 Aprile è il giorno in cui avvenne il disastro in Bangladesh dove trovarono la morte molti operai intenti a produrre moda in una situazione lavorativa disumana.
E’ un movimento propositivo, tanto che anche grandi catene di fast fashion, una per tutte Zara, si è prestato a rispondere agli utenti.

Qualcosa sta cambiando, gli esperti dicono che per come è adesso l’industria moda, per il modello economico sul quale si basa, è diventato insostenibile su vari aspetti, non solo etici.
The true cost, il documentario disponibile anche su Netflix, il reality dei ragazzi nordici andati a lavorare con gli operai del fast fashion…Di materiale ce n’è.

Eppure, facendo una breve ricerca, pochissime blogger che di moda ne sanno, hanno parlato del FashRev, così come vari addetti al settore o persone che trattano di stile e vestiti online senza per forza avere un blog.

Ho mandato alcune domande a donne che rispondono ai requisiti elencati qui sopra, qualcuno ha risposto, altri no ma spero lo facciano presto. Vorrei, tramite queste brevi interviste, arrivare ad Aprile, con qualche spunto in più…

Vintage Afropicks long dress

La prima donna che si è prestata è un personaggio incredibile, in rete la si conosce come Vintage Afropicks. Famosissima su Depop, si definisce cerca robe, io la definisco spacciatrice di stile infinito.
Per chi vive a Milano, è possibile incontrarla spesso all’east market. Non solo dove c’è lei ci sono vestiti e accessori bellissimi, ma è facile lasciarsi contagiare da una strafitudine avvolta da un’energia più unica che rara.

“Eri al corrente dell’iniziativa “Who made my clothes” dell’anno scorso? Hai partecipato? Se si/no, perché?”

Ciao!
Si, sono al corrente dell’iniziativa  who made in clothes.
L’anno scorso non ho partecipato perché  sono una bollita e mi sono persa .
Quest’anno mi sono ripromessa di farlo.

“Consapevolezza: in quanto amante della moda, quanto conta per te la qualità di quello che indossi? Sei consapevole che molto di quello che indossiamo sia prodotto da persone sotto pagate che lavorano in ambienti di lavoro disumani? Lo sai quanto inquina la produzione di un jeans?”

L’importanza di quello che indosso è la base , infatti sono una riciclatrice di abiti, indosso per lo più 2hand e vintage e sono molto attenta a quello che acquisto.
Sono per la qualità non per la quantità.
Un capo deve durare nel tempo e voglio dare i miei pochi soldi a chi ha una sensibilità e una correttezza di base in quello che produce o che vende.
Poi ovviamente è capitato anche a me di acquistare prodotti fast-fashion. Ma col tempo ho capito che il mio comprare compulsivo era solo insoddisfazione, non mettevo la metà dei capi o li buttavo perché dopo due lavaggi erano lisi. In seguito ho cominciato ad avere la nausea della troppa roba e comprarne sempre meno.
C’è un documentario che gira in rete: “Obsolescenza programmata il motore segreto della nostra società” dove viene spiegato molto bene perché DOBBIAMO consumare.

Vintage Afropicks stile

Io davanti allo stile di questa donna woweggio senza fine…

“Come ho spesso scritto, parlarne, non significa passare da un estremo all’altro: sarebbe ipocrita e impossibile comprare e indossare solo capi buoni. Parlarne, pensarci, comprare meno e meglio potrebbe essere l’inizio per creare una nuova richiesta. Pensi che questa affermazione possa avere senso? Possiamo fare qualcosa dal basso in un business così grande?”

Il mio mondo è l’abbigliamento vintage e 2hand , vedo e tocco capi che hanno molti anni e sono ancora integri.
I nostri nonni avevano un cappotto “buono”, confezionato dalla sarta , e uno per tutti giorni.
Comprare consapevolmente per me vuol dire acquistare  oggetti  o vestiario che rimangano  nel tempo, senza sacrificare il lavoro umano, le vite e le risorse del nostro pianeta .
Che debba scriverlo nel 2016 mi sembra surreale.
Non abbiamo bisogno di 10.000 vestiti per stare bene, poi non sappiamo neanche dove metterli.
Non è sostenibile per l’ambiente, sia per gli scarti sia per come vengono tinti i tessuti. Pensate per esempio al processo di sabbiatura del denim. (Processo chimico nocivo per salute e per l’ambiente) Approfondimento –> QUI  
Il problema reale è il nostro sistema capitalistico , produrre  al minimo costo rivendere a 100 volte di più creandoti l’illusione che hai acquistato un capo a poco prezzo e che hai fatto l’affare.
Pensi di acquistare a poco un capo perché non ti puoi permettere di spendere di più e così, senza renderti conto, comprando nei fast-fashion contribuisci alla chiusura di piccole attività dove puoi trovare persone che vendono  capi sartoriali , artigianali o di stilisti emergenti, pezzi unici o del territorio, perché non possono competere con i colossi.
E’ quello che sta succedendo nelle nostre città.
Bisogna prendere coscienza che per tenere in piedi il nostro tenore di vita occidentale  e arricchire i vertici del nostro sistema stiamo distruggendo vite umane e anche il nostro pianeta. Dovremmo darci una regolata.
Stiamo esportando un sistema  marcio  non sostenibile e disumano.
E’ un sistema in collasso che non ha futuro.
Ecco perché nel settore nella moda se ne parla poco , non è stiloso parlare di morti, bambini operai, donne e uomini schiavizzati che si ammalano… non è CHIC!

Vintage Afropicks shoes

“Depop, fare girare vestiti già messi, scambiare, rivendere, ricomprare: può essere una soluzione concreta? Funziona?”

Certo! Informarsi e creare una rete alternativa di vendita per me è la base, questo è anche il mio lavoro e sono convinta che ridurre l’acquisto dei fast fashion è un primo passo.
Penso che un’altra arma possa essere il boicottaggio sistematico e mirato. Sarebbe forse l’unico modo per penalizzare questo sistema ma bisogna essere  in tanti, organizzati e attivi.
Poi se uno vuole un capo di catena fast fashion ci sono sempre canali di vendita di privati 2hand, ad esempio su depop ci sono tantissime ragazze che ne vendono. Certo è una riduzione del danno, ma almeno sapete dove vanno a finire i vostri  soldi. Depop e etsy sono un altro modo di riciclare e anche di guadagnare.

Vintage-Afropicks-Depop

Tizz, l’anima che si cela sotto la chioma più stilosa di milano, la trovate:
su Depop –> QUI
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