don’t feed the cialtrons 26 Aprile 2016 – Pubblicato in: Cose Varie

influencer

Gentile Signor Domenico Naso,
dopo aver letto il suo articolo “Chi sono davvero influencer?” mi sono sentita di scrivere un approfondimento, perché – scusi se mi permetto ma è solo la mia opinione personale – così com’è potrebbe apparire mancante di una serie di dati, visti gli investimenti dedicati a questi personaggi.

La pubblicità è sempre esistita e credo vivrà ancora a lungo. I testimonial fanno parte dei piani marketing da molto tempo e vengono considerati efficaci quando un’analisi determina se grazie al loro personaggio sono riusciti a fare l’unica cosa per la quale vengono pagati in un contesto pubblicitario: vendere.
Di professione faccio la blogger. Non solo, ho da poco aperto un negozio online ma è una conseguenza del primo lavoro. Il mio è un mestiere pagato in partita iva.
È un lavoro, lo suppongo dallo stipendio che percepisco e dalle conseguenti tasse che verso nelle casse dello stato.

Quali sono le mie competenze?
Negli anni, attorno al mio contenitore, si è creato un bacino d’utenza misurabile tramite vari strumenti. La mia professionalità sta nel conoscerlo talmente bene da non vederlo come un “pubblico” ma come un insieme di persone che manifesta approvazione o disapprovazione in maniera molto diretta.
Persone che fruiscono l’online consapevolmente, che non lo subiscono. Mi piacerebbe che questa considerazione venisse fatta da tutti, agenzie di comunicazione e marketing in primis.
La gente non è stupida.
Questo tipo di fruitore è spesso molto più preparato di chi lavora nel digital e la farsa dell’influencer, nella sua accezione più negativa, ai suoi occhi non regge o reggerà ancora per poco.

Vivo, quindi, di pubblicità e consulenze. Le “markette”, come le chiama lei, mi permettono di tenere in piedi un contenitore di intrattenimento che è anche un portfolio online, un curriculum vitae che si evolve e si aggiorna costantemente procurandomi altro lavoro.

A cosa serve la mia conoscenza professionalmente? A scegliere attentamente i marchi con cui collaborare, agendo con estrema coerenza, e a progettare un modo di raccontare un prodotto che si diversifichi dalle modalità delle campagne stampa o televisive. Altri media, altri modi.
Eviterò di raccontarLe l’ansia economica che provo ogni volta che rifiuto una campagna pubblicitaria per non intaccare la mia coerenza, ma mi preme parlarLe di credibilità, che è l’unico strumento reale che mi porta a vendere un prodotto o a invogliare a partecipare ad un evento.
Funziona? Ha funzionato svariate volte. Quando le sinergie hanno fatto il loro dovere, si è venduto.

i'm not a blogger

Perché, fatte queste premesse, sento che questo fenomeno mi riguardi?
Perché, anche in ambito digitale,  le cose fatte male si ripercuotono sul lavoro di tutti.

Genericamente, l’influencer è una persona che vanta numeri alti nei sui contatti sui social networks.
In teoria, nessuno si dovrebbe definire tale.
Un influencer può essere chiamato con questo nome solo da un committente che ha provato, tramite collaborazione, quanto il presunto abbia realmente influenzato il suo interlocutore.

O almeno così dovrebbe essere.

E qui arriva la distinzione tra il “cialtrone” e il professionista.

Il cialtrone accetta avidamente la qualunque.
Spesso, soprattutto su instagram, presenta il prodotto all’ombra del proprio ego.
Risultato commerciale? Su tanti commenti, la maggior parte saranno “quanto sei figo/a”, il restante, se va bene, chiederà qualche informazione sul prodotto.
Il cialtrone gonfia i risultati. Acquistando follower falsi, falsi like, falsi commenti.
Don’t feed the cialtrons. Please.

Il professionista sceglie con chi collaborare con coerenza.
Per etica? Professionalmente lo fa per lungimiranza: solo mantenendo la propria credibilità, influenzerà.
Pensa a come inserire un prodotto all’interno di un contenuto – e per contenuto intendo anche una fotografia -, studia il modo migliore per ottenere un risultato finale a prescindere dagli impulsi del suo ego.
Il professionista non truffa con numeri falsi perché sa che i followers comprati non acquistano.

Il professionista di mestiere fa l’influencer? No. Perché non è un mestiere.
Il professionista è una persona presente online che fa cose, che sia intrattenimento, informazione o fotografie. Oppure è una persona dotata di grande personalità, che nella vita offline ha un lavoro lontano dal digital.
Comunque sia, di mestiere non può fare solo la pubblicità ambulante.

Eppure esiste il cialtrone di cui Lei parla nell’articolo? Sì.

Ora la domanda è: “Chi è cialtrone, chi non lo è?”
Piaccia o non piaccia, il fenomeno influencer serve.

E’ evidente che qualcuno lavori male o non abbia chiaro l’obiettivo.

Perché pagare alcuni personaggi?

Se è per ottenere 1000 sterili like sotto una foto, è da matti.
Se è per vendere, bisognerebbe verificare

Dare lavoro al cialtrone sta generando un unico risultato: gli investimenti sbagliati riducono i budget previsti per le agenzie e per i professionisti, perché i brand che non hanno ottenuto risultati non hanno voglia di reinvestire.
Dare lavoro ai cialtroni significa non sfruttare un’opportunità che esiste e che può funzionare.

Io nel marketing online credo ancora; ai cialtroni non ho mai creduto e lo dico da utente finale.

Cordialmente,

Justine Romano