Aya Homsi, la ragazzina dagli occhi enormi e dallo spirito combattivo. 19 Maggio 2016 – Pubblicato in: Cose Varie

Aya Homsi

Nasce il 15 settembre 1987, nella città dei portici, quella che di torri ne ha due ma ne vedi sempre una, che se piove non ti bagni, che c’è l’università e le sere d’estate con musica e cibo e guardi i film in piazza maggiore con Dalla che sta ancora li, tra le mura di via D’Azeglio. Che me lo ha detto che anche adesso, che è lontana, Bologna è Casa, è storia, la sua che comincia da qui.

Genitori siriani, della città d’Aleppo, la città che sta sparendo sotto le contraddizioni di un dittatore e di un silenzio globale.

Cittadina italiana e siriana, due lingue, due culture, due cuori, una vita giovanissima che si chiama Adam e sogni di ogni tipo.

Si chiama Aya Homsi, la ragazzina dagli occhi enormi e dallo spirito combattivo. Così è, che  me la immagino, perché io e lei ci siamo incrociate, ma mai fermate e presentate, ci siamo parlate e ascoltate ma mai guardate negli occhi. I suoi sono grandi, forse l’ho già detto, ma anche il suo sorriso.

Donna, due culture, due lingue madri, un corpo che appartiene a un Paese, una Storia che percorre chilometri andata e ritorno ogni giorno, per poter essere lì e quì. Lì dove si sta creando la consapevolezza di ciò che non vuole per Adam, suo figlio, qui il suo futuro negli occhi di un bimbo che scopre il mondo e che si spera non debba mai vedere quello che vedono i suoi coetanei in quella terra che un giorno la sua mamma lo porterà a conoscere.
Educatrice, laureata a Bologna, ha la presunzione di sentirsi più giovane di quando è nato suo figlio, questo mi scrive nelle nostre conversazioni chat e quando cerco di farla ragionare sulla oggettività del tempo che passa (per tutti bella mia) mi comunica la sua scelta consapevole di andare a correre, ci crede, e cerca anche di convincermi. (non ci casco ovviamente) e allora li capisco che forse è vero quello che dice, la maternità ti ringiovanisce. La terrò d’occhio e poi vi saprò dire.

Aya-occhi-grandi

Indossa spesso giacche colorate che adoro e che ancora non vuole dirmi dove compra.

Quindi, dicevo, corre, cura il suo giardino con il suo fiero pollice verde.

(Momento di invidia e commemorazione per le mie piantine grasse suicidatasi nel gennaio 2016 per abbandono)

Legge tanto, adora le poesie, la musica, il giardini e il suo in particolare.

Il suo bimbo. Neanche a dirlo.

Cosi sta bene, mi dice. Con piccole, grandi cose quotidiane.

Ma aggiunge: “Sto bene comunque io, tutto si risolve, tutto si affronta. Giorno dopo giorno.”
Che quando indossa i suoi pantaloncini colorati è sempre sole.

E lo senti che le brillano gli occhi, lo senti che ama la Vita.

Perché Aya si prende la cura di guardare i volti dei suoi concittadini che muoiono nel suo Paese e per farlo devi amare la Vita, devi sentire il sacro fuoco dell’umanità che ti chiede di non soccombere a un quotidiano che seppur difficile è lontano da bombe e distruzione.

Cosi si sta bene, si sta bene comunque.

Aya's-outfit

Poi c’é il maqlube, un piatto palestinese che però è molto diffuso in Siria, con lo spezzatino, le melanzane fritte e il riso e a pioggia croccanti mandorle. E sei lì che un colpo al cuore non te lo leva nessuno perché hai in bocca il sapore di famiglia. E quando vuole tornare a casa, Aya, prende un treno da Padova, dove vive, ed è destinazione Bologna.

Aya parla di felicità quando ha l’odore del sapone di aleppo sulla pelle, è fica con l’hennè sulle mani e per tingere i suoi capelli. E mette l’olio di Argan con il balsamo cosi che i capelli siano morbidi, sopratutto per noi ricce. E il kajal, che se lo indossi, dice Aya, sei dentro un sogno orientale.

Se avete voglia di seguire il suo impegno per la Siria e copiare i suoi outifit andate sul suo profilo, chiedetele l’amicizia e godetevela come faccio io.
Pillole di felicità e di straficaggine, per lei, per me, per noi.

Grazia Aya

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