The Funky Art Exhibitions: quattro al prezzo di due 13 Maggio 2014 – Pubblicato in: The Funky Art Exhibitions – Tags: , , , , , , , , ,

A Firenze e Venezia sono in corso due mostre straordinarie, molto diverse nel loro genere, ma accomunate dal fatto che essendo incentrate su artisti come Pollock e Dora Maar, strizzano l’occhio a due grandi geni della storia dell’arte Michelangelo e Picasso.

A Firenze la mostra Jackson Pollock “La figura della furia” ideata e curata da Sergio Risaliti e Francesca Campana Comparini rende omaggio all’artista del XX secolo colui che ha scardinato le regole dell’arte figurativa occidentale dissolvendo gli ultimi baluardi della prospettiva rinascimentale, e lo fa accostando idealmente l’opera dell’artefice americano a quella di un altro titano dell’arte universale, Michelangelo Buonarroti (1475-1564) di cui proprio quest’anno si celebra il 450° anniversario della morte.

E’ il dialogo fra due geni, un discorso interrotto e ripreso dove il filo conduttore è l’arte.

Il luogo prescelto per esporre ben sedici opere di Pollock è Palazzo Vecchio simbolo, e a tutt’oggi sede, del potere politico di Firenze, in particolare della città comunale e rinascimentale che fece dell’arte un elemento di forza della propria civiltà e del proprio prestigio nel mondo. E proprio in Palazzo Vecchio si conserva nel Salone dei Cinquecento Il Genio della Vittoria, una delle opere più celebri del Buonarroti, emblema di quelle tensioni contrapposte che caratterizzano la scultura michelangiolesca e che per vie sotterranee tornano a proporsi con assoluta enfasi nelle rivoluzionarie pitture di Pollock

Il titolo della mostra, infatti, La figura della furia, vuole essere un riferimento allo stesso Pollock, alla sua figura nell’atto di dipingere le tele girandogli intorno, pervaso da impeto passionale e da un furore dinamico come in un rituale sciamanico. Al tempo stesso quel titolo allude all’espressione “La furia della figura” citata nel ‘500 dal teorico e pittore Giovanni Paolo Lomazzo (1584) quando volle descrivere “la maggior grazia e leggiadria che possa avere una figura pittorica o scultorea, che potesse essere realizzata dagli artisti del suo tempo”. Ed evidenziò che ciò che dava queste qualità è che la figura mostri di muoversi in un moto simile alla fiamma. Quel movimento spiraliforme, quella dinamica bellezza, fatta di parti non-finite e di forze contrapposte che Michelangelo conferiva alle sue figure con una lavorazione fisicamente travolgente e di cui il Genio della Vittoria è uno dei maggiori paradigmi. In questo senso è proprio la “furia” della figura creata da Michelangelo che si traspone in Pollock nell’atto di creare quel nuovo tessuto di segni che, se disgrega il mondo figurativo tradizionale, assegna una nuova immagine a quell’ intima potenza e a quella furia nella pittura.

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Oltre ai sei cruciali disegni sono presenti alcuni dipinti e incisioni di Pollock concessi da musei internazionali e collezioni private: opere ancora giovanili degli anni Trenta, dove il suo stile più personale, nell’ambito dell’espressionismo astratto, si va definendo.

Prestigiosi poi gli altri prestiti dalla Pollock Krasner Foundation. Una serie di straordinarie opere grafiche.

L’idea di tale esposizione è nata studiando una serie di disegni dell’artista americano conservati al Metropolitan Museum di New York, già pubblicati nel 1997 da Katharine Baetjer in occasione di un’esposizione temporanea organizzata dal grande museo americano e dedicata a dei quaderni da lavoro di Pollock e alla sua relazione con gli ‘antichi maestri’. In questi preziosi taccuini da disegno Pollock risulta fortemente impressionato dalle immagini della volta della Cappella Sistina e del Giudizio universale. Si riconoscono infatti almeno tre ignudi, oltre al profeta Giona, all’Adamo che riceve lo spirito della vita, ad alcune figure dal Giudizio. Pollock aveva avuto occasione di conoscere alcuni capolavori del Rinascimento italiano durante il suo apprendistato presso Thomas Hart Benton, uno dei grandi protagonisti della pittura americana della prima metà del ‘900.

Pollock andò però oltre l’esercizio della copia accademica di capolavori dell’arte rinascimentale e nella fattispecie di Michelangelo. I disegni in mostra manifestano, infatti, il coinvolgimento da lui riposto nello studio delle anatomie e delle muscolature, così da esprimere sentimenti di dolcezza e di grazia, ma anche di tensione e potenza, suggerite dalle rientranze e dalle sporgenze delle belle forme del corpo umano, misurandosi in questo senso proprio con la rappresentazione dinamica ed espressiva delle anatomie, del pieno e del vuoto, delle zone di rilassamento e di massima tensione dei muscoli e della carne. E’ qui che possiamo cogliere le basi delle composizioni astratte di Pollock, qui l’artista è alla ricerca di quel suo linguaggio che lo porterà oltre la tradizione figurativa europea. Tradizione che tuttavia rimase imprescindibile anche dopo il suo deliberato abbandono come ebbe a testimoniare Lee Krasner, artista e compagna di Pollock: “Molti quadri, tra i più astratti, cominciavano con un’iconografia più o meno riconoscibile: teste, parti del corpo, creature fantastiche. Una volta chiesi a Jackson perchè non smettesse di dipingere i suoi quadri non appena una data immagine vi aveva preso forma. Mi rispose: Quello che voglio coprire sono le figure”.

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Ed ecco manifestarsi nell’atto e nell’esito creativo il punto di similitudine fra i due grandi artisti a distanza di quattrocento anni. L’anelito alla creazione, l’impulso irrefrenabile dell’atto creativo che assume una valenza mistica nella ricerca mai paga della bellezza come assoluto e dell’infinito come limite e scopo dell’azione artistica. Come manifestazione di Dio per Michelangelo, per il quale la perfezione desiderata, vagheggiata, resta comunque meta irraggiungibile dovendosi confrontare con una dimensione soggettiva dell’ispirazione. Pollock, facendo il percorso contrario, ha comunque cercato di raggiungere il suo assoluto, la sua aspirata idea di armoniosa totalità, lasciando al proprio inconscio il compito esagerato di generare qualcosa di perfetto e d’infinito: Pollock, infatti, parte dalla percezione di un’immagine, ma arriva a disgregarla completamente, consegnandola così alle sue infinite possibilità di evoluzione, lettura e interpretazione.

La mostra si compone di una seconda sezione nel Complesso di San Firenze e più precisamente nella Sala della musica che offre spazi interattivi, apparati multimediali e didattici, dove, attraverso allestimenti creativi, si propongono proiezioni e filmati sulla vita e l’arte dell’artista. Il progetto, oltre la mostra stessa, ha come obiettivo quello di contribuire ad esperire l’arte con strumenti nuovi ed attuali. Nel caso specifico vivere l’arte e comprendere le opere di Pollock attraverso immagini, suoni e filmati che suscitino una sollecitazione sensoriale capace di coinvolgere l’osservatore immergendolo nei drip painting, riproducendo l’ambiente in cui l’artista operava, tanto da percepire l’odore delle tinte, il senso di apertura illimitata (all over) delle sue azioni pittoriche. Le opere di Pollock possiedono infatti un’energia creativa capace di rapire e coinvolgere totalmente l’osservatore in un momento di profonda esperienza intellettuale e sensoriale.

Le grandi dimensioni delle tele assumono così il senso di rispecchiare il kosmo perfettamente ordinato, nella sua intrinseca forma caotica, capace di avvolgere colui che vi si trova di fronte: gli strumenti multimediali tenteranno di restituire e favorire questa immersione dell’uomo nell’universo infinito quale senso creativo originario dell’arte di Pollock. Oltrepassare una tela di Pollock, come vero e proprio ex-per-ire  etimologicamente un “passare attraverso” – è una delle tante esperienze sensoriali che la multimedialità di San Firenze vuole offrire al pubblico, in modo che l’immedesimazione dell’osservatore sia più fedele al vero.

Jackson Pollock “La figura della furia”

16 Aprile – 27 Luglio 2014 

Palazzo Vecchio (Sala dei Gigli e Sala della Cancelleria), Piazza della Signoria 1, Firenze 
Complesso di San Firenze (Sala della musica), Piazza San Firenze, Firenze

Palazzo Vecchio (la biglietteria chiude un’ora prima della chiusura)  apertura 9 – 24 ad eccezione del giovedì 9 – 14

Complesso di di San Firenze (la biglietteria chiude un’ora prima della chiusura) tutti i giorni 10-20 escluso il giovedì 10-14

Henriette Theodora Markovitch, meglio nota come Dora Maar (Parigi, 1907-1997), nell’immaginario e nel ricordo dei posteri è stata soprattutto l’amante e la musa del grande Picasso; la donna di rara bellezza e dalla personalità enigmatica che aveva sedotto il massimo pittore del secolo e, abbandonata, era sprofondata nella pazzia, vivendo isolata dal mondo per i restanti cinquant’anni. Ma Dora Maar non fu solo questo, fu anche e soprattutto una straordinaria artista e la mostra a Palazzo Fortuny, prima esposizione dedicata in Italia a questa grande fotografa, vuole appunto rivelare il singolare talento di Dora Maar. Nonostante Picasso. Grazie ai prestiti ottenuti da importanti musei e collezioni private, la mostra, che espone oltre un centinaio di opere, con alcuni lavori inediti dell’artista di grande interesse, ripercorre la carriera e la personalità di Dora: una donna certamente complessa e tormentata come appare nei dipinti di Picasso, ma anche acuta, intelligente e politicamente impegnata. Una personalità poliedrica e dalle molte vite. Una grande fotografa.

Risalgono al 1928 i primi lavori realizzati su commissione e nel 1930 la Maar inizia a lavorare come assistente di Harry Ossip Meerson, nel cui studio conosce Brassaï. Quindi il connubio con Pierre Kéfer, il giovane che aveva creato le scene per il film La caduta della casa degli Usher di Jean Epstein. Le loro opere vengono firmate con il timbro Kéfer-Maar ma gli scatti di strada, che pure portano le due firme congiunte, sono quasi totalmente di Dora. Sono queste forse le sue foto meno note, di cui la mostra al Fortuny propone una straordinaria selezione, eppure di grande interesse per l’attenzione alle frange marginali della società (scene di miseria e vagabondi, ciechi e storpi), per il mondo dell’infanzia, per la vita quotidiana che si svolge nelle strade ove prevalgono il popolare (mercatini, fiere) e l’eccentrico (il negozio di tatuaggi, la vetrina del mago, il canguro di paglia).

L’attenzione di Dora per i meno abbienti in una Parigi colpita dalla grande crisi del ‘29 si colora anche di politica. All’epoca la Maar aveva una relazione con un giovane e intelligente cineasta e frequentava il mondo di Montparnasse con Paul Éluard, i fratelli Jacques e Pierre Prévert, Luis Buñuel, ma cosciente delle disuguaglianze sociali, decide anche di impegnarsi nella lotta in favore delle classi umili ed entra a far parte nel 1933 del gruppo Masses, dove conosce il filosofo e rivoluzionario Georges Bataille. La loro relazione dura pochi mesi, la loro amicizia molto più a lungo.

Tra le foto “di strada” un posto particolare hanno quelle scattate nel suo viaggio solitario nel ‘33 a Barcellona e in Costa Brava: Dora fotografò il mercato della Boquería con le venditrici, le macellaie, i mendicanti, i bambini e i colori. Fece degli scatti al Parco Güell di Gaudí, scegliendo gli stessi motivi ripresi quell’anno da Man Ray; fissò immagini del villaggio di Tossa con i suoi pescatori. L’impegno politico di Dora coincide con il suo ingresso al gruppo surrealista.

Dora Maar era inevitabilmente attratta dalle idee surrealiste: oltre a schierarsi dalla parte dei diseredati, aveva un’istintiva e forte inclinazione per il misterioso, il magico e il soprannaturale e temi fondamentali del credo estetico e ideologico dei surrealisti erano proprio il pensiero automatico, la follia, l’arte infantile, il mondo primitivo, l’erotismo. “Rivelare l’inquietante stranezza del quotidiano” diventò uno dei talenti di Dora Maar.

Si susseguono in questi anni le esposizioni: alla “Mostra Surrealista” di Tenerife nel 1935 e, nel 1936, a “Fantastic Art, Dada e Surrealismo” di New York, alla mostra “Objets Surréalistes” alla Galleria Charles Ratton e alla “Mostra Internazionale del Surrealismo” di Londra.

Dora Maar alternava la fotografia sperimentale a quella commerciale. Eseguì ritratti, foto di nudi, pubblicità. Come alcuni fotografi suoi contemporanei adottò un linguaggio sperimentale per i suoi incarichi commerciali: la solarizzazione, l’uso del negativo, la sovrimpressione e il fotomontaggio furono alcuni dei procedimenti che utilizzò, per esempio, nelle due versioni di Bagnante, dove alle modelle che pubblicizzano un costume da bagno sono sovrimpressi i riflessi dell’acqua della piscina. Pubblicò su giornali di moda e anche su alcune piccole riviste erotiche che uscivano negli anni Trenta come “Beautés Magazine” o “Amours de Paris”: pensiamo alla foto Assia, nudo e ombra, ecc.

Tra i tanti ritratti, sono bellissimi quelli di Nusch Éluard, come quello come le mani accostate alle guance contro uno sfondo nero, intenso e drammatico, che tornerà anche nel Ritratto in chiaroscuro di una donna bionda, il viso appoggiato sulla mano e nel Ritratto in chiaroscuro di una donna bionda con le braccia incrociate.

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Di Jean-Louis Barrault, nel cui studio Picasso avrebbe poi dipinto Guernica, Dora Maar scattò due immagini sensazionali, una delle quali in mostra, mentre nei ritratti di Marie-Laure de Noailles e del poeta René Crevel – lavori inediti presentati per la prima volta in questa occasione – troviamo vecchi negativi degli anni Trenta successivamente rielaborati, come lei amava fare, con ottimi esiti.

Una novità è anche il ritratto, da piccola, di Aube Breton figlia di André Breton e Jacqueline Lamba ai quali Dora era molto legata.

Il 7 gennaio 1936 Paul Éluard presentò Dora a Picasso e tra i due ebbe inizio una relazione, passionale e tormenta.

Lavorarano insieme a un gruppo di opere che combinavano le tecniche del fotogramma e del cliché verr e Dora fotografò le diverse fasi di realizzazione di Guernica, lasciandoci uno straordinario documento sulla genesi e l’evoluzione di questo capolavoro.

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Nel 1937 c’è il riavvicinamento di Dora alla pittura che non abbandonerà più fino alla fine della sua vita, mentre Picasso la immortala in quegli anni in innumerevoli tele: all’inizio bella e malinconica con un corpo bianchissimo e sensuale, ma a partire dal ‘38 chiusa in un intreccio di linee sottili, “come una rete o una griglia, metafora del suo carattere tormentato e incostante”.

In mostra si potrà rivedere Dora in un olio di Pablo del ’39 ma anche in un piccolo, straordinario bronzo realizzato dal grande artista nel ’41.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale la coppia si stabilì a Royan ma negli anni seguenti i fatti precipitarono: la fuga del padre in Sudamerica per timore di essere scambiato per ebreo, l’arresto nel ‘42 della madre rimasta in Francia e la sua morte per un’emorragia cerebrale, l’angoscia provocata dall’invasione tedesca, i tradimenti di Picasso e la sua relazione con la giovane pittrice Françoise Gilot.

Troppo per Dora.

Nel 1945 dopo una serie di bizzarri comportamenti, la sua instabilità sfociò in una grave depressione che superò solo negli anni, vivendo ritirata da tutti, grazie alla psicanalisi di Lacan e al ritorno alla religione. Dora Maar si spense a Parigi nel 1997.

Dora Maar. Nonostante Picasso

8 marzo – 14 luglio 2014

Venezia, Palazzo Fortuny

Info: www.fortuny.visitmuve.it