Le colpe di noi genitori 3 Settembre 2015 – Pubblicato in: The Funky Diaries – Tags: , ,

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Questo post mi gira in testa da quando Leone, tornato da scuola, ultimo anno di scuola dell’infanzia, mi chiese: “E’ vero che la Francia fa schifo?”
“In che senso? Perché me lo chiedi?”
“Un mio amico mi ha detto Francia buuu.”
“Mmmm. Qualcosa mi dice che c’entra il calcio.”
Un altro paio di altre domande tattiche per arrivare al punto: si trattava, infatti, di calcio.

Mi partì tutta una serie di ragionamenti che tentai di frenare.
Non essere pesante, mi ripetevo.
Ma io sono pesante, quindi continuai a pensarci.
Non ho potuto fare a meno di notare che le conversazioni calcistiche di quei bambini di 5 anni fossero ripetizioni a pappagallo di ciò che avevano sentito in casa. La metà di quelle frasi, non le capiscono nemmeno.
Non mi piace, è più forte di me, soprattutto quando portano a un Francia buuu. Mi dico e ripeto che è stata sicuramente un’uscita goliardica, innocua, tanto per scherzare. Ma nessuno mi toglie dalla mente che qualche papà burlone avrà detto al figlio, sapendo che Leone è metà francese, qualcosa che il bimbo ha riassunto con quel Francia buuu.
Niente di male, forse, io ci vedo un inizio di un qualcosa che i bambini non hanno.
A volte, le colpe dei genitori, sono proprio quelle di insegnare invece di imparare dall’innocenza dei propri figli, soprattutto quando si parla di diversità. Almeno così la penso io.

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Questo episodio mi è tornato alla mente mentre ascoltavo in silenzio i discorsi di alcuni bimbi appesi a delle funi, tra i quali c’era mio figlio, in un parco avventura di Morzine, il paesino di fianco a quello dove sono nata in Alta Savoia.
Bambini inglesi, francesi, tedeschi e un italiano, il mio, tutti imbragati e appesi a delle funi, muniti di caschetto, dovevano affrontare un percorso bello ma impegnativo a 4 metri di altezza, tra bellissimi alberi colorati dalla luce del sole.
Ridevano e bisbigliavano tra loro, ma si vedeva che erano comunque in tensione, chi più, chi meno.

A un certo punto, nel bel mezzo di una tappa che consisteva nel camminare in bilico su una fune, una bimba inizia a urlare: paralizzata dalla paura non riusciva più a fare né un passo avanti né uno indietro.
Mi si è stretto il cuore. Stavo per urlarle qualcosa quando il bimbo dietro comincia a farlo al posto mio: “It’s ok. You can’t fall down.” Una bambina già al di là della tappa fune capisce e traduce. Nel giro di pochi secondi sono in tanti a incitarla: lei prende coraggio e finisce.
Intanto, quello stesso bimbo di prima si gira verso Leone e gli spiega in inglese, mimando, che non deve avere paura, perché sono assicurati a una fune. Si capiscono e partono le presentazioni. Si chiedono quanti anni hanno e i loro nomi. Le due bimbe, il bimbo, Leone che da quel momento verrà ribattezzato da tutti Leò e altri due bimbi dietro, diventano un team internazionale.

Così fino alla fine del percorso.

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Si sono aiutati, supportati, divertiti anche nei momenti più critici del percorso, parlando lingue diverse, con la naturalezza che contraddistingue i bambini…
Succede, nel mondo bimbo, fino a quando non ci mettiamo di mezzo noi, a togliere loro quell’innato senso di appartenenza al mondo, quel senso giusto e corretto di comunicazione verbale e non, l’altruismo e la totale mancanza del senso del diverso.
Pensiamoci, anche quando stiamo facendo una battuta che tra l’altro, i nostri figli, non percepiscono nemmeno come tale…

Paesi, generi, religioni, orientamento sessuale: la diversità la insegniamo noi.
Chi siamo per decidere cos’è diverso e cosa no?
Se non la percepiscono dove la percepiamo noi, lasciamoli avere ragione. Avremmo solo da imparare.

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Se passate per l’Alta Savoia, vi consiglio l’Indiana Parc di Morzine.
Percorsi differenziati in base all’altezza e all’età. Dai due anni in su.
info–> QUI

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